Messa di Natale: il messaggio di monsignor Ambarus
Il testo dell'omelia
giovedì 25 dicembre 2025
12.34
Nell'omelia della Messa della notte di Natale, celebrata nella Cattedrale di Matera, mons. Benoni Ambarus, Arcivescovo di Matera-Irsina e Vescovo di Tricarico, ha richiamato il significato della nascita di Gesù come luce capace di orientare il cammino dell'umanità segnata da guerre, conflitti e autodistruzione. Il vescovo ha sottolineato come, senza la luce di Dio l'uomo rischi di smarrire il senso della vita e il valore di ogni persona. Il Natale, ha ricordato, mette in evidenza sia le vette della gioia spirituale e relazionale sia gli abissi del dolore e della fatica, vissuti in modo particolare da chi si trova in situazioni di povertà e fragilità. Durante le visite compiute nel tempo di Avvento nei luoghi di accoglienza, mons. Ambarus ha incontrato sofferenza ma anche segni di speranza, grazie all'impegno quotidiano di operatori sociali e della carità. Al centro dell'omelia, il carattere controcorrente del Natale: mentre l'uomo aspira al potere, Dio sceglie di farsi piccolo e fragile. L'annuncio ai pastori, primi destinatari della nascita del Salvatore, introduce un nuovo criterio nelle gerarchie umane, ponendo al centro gli scartati e i poveri. Richiamando san Paolo, il vescovo ha infine invitato a uno stile di vita fondato su sobrietà, giustizia e pietà, per riscoprirsi figli dello stesso Padre e vivere relazioni autentiche.
Di seguito il testo integrale:
Omelia della notte di Natale – mons. Benoni Ambarus
Fratelli e sorelle, buon Natale, buona Natività di Gesù.
Sono molto contento di celebrare questo primo Natale insieme a voi. Ecco, abbiamo ascoltato: «Il popolo che camminava nelle tenebre vide una grande luce; su coloro che abitavano in terra tenebrosa, una luce rifulse».
Non posso non partire da queste parole del profeta Isaia questa sera; non posso non partire da questa immagine che riflette il cammino tortuoso e smarrito dell'umanità errante e vagabonda in questa vita, l'umanità smarrita per i venti di guerra e di autodistruzione. Senza la luce di Dio siamo nelle tenebre: non troviamo la strada, non troviamo il senso della vita umana.
Senza la luce divina non sappiamo dove andiamo nella nostra esistenza e neppure cogliamo appieno il valore di ogni essere umano. Invece, con la grande luce che questa sera celebriamo, come se fosse la prima volta, lasciamo che il nostro cuore si stupisca. Cosa avremmo fatto della nostra vita senza la luce e la presenza divina?
Come ci saremmo barcamenati senza il bambino di Betlemme? Ecco, il profeta invita allo stupore, alla gioia, alla moltiplicazione della gioia, alla letizia e all'esultanza per un bambino che ci è stato dato.
Ora, carissimi, lo so molto bene che questa notte l'umano vivere può toccare le vette della gioia spirituale e relazionale oppure gli abissi del dolore e della fatica. Infatti, questa notte e questi giorni tendono ad esaltare entrambe le dimensioni della vita: sia le vette della gioia sia gli abissi della fatica. Ci sono situazioni in cui dire "buon Natale" non sembra una presa in giro, ma un augurio e una preghiera bella. E ci sono invece tante situazioni di non Natale, nell'accezione che si veicola oggi.
In queste ultime due settimane, come da alcuni anni a questa parte, ho vissuto il tempo dell'Avvento facendo visita nei luoghi di accoglienza per le varie forme di povertà: persone povere, senza casa, senza famiglia; bambini e ragazzi con famiglie faticose o senza uno straccio di famiglia; giovani con varie dipendenze; adulti, anziani, persone malate e sole, straniere, e altre difficoltà di ogni sorta.
Costoro, come fanno a sposare la dimensione del profeta Isaia che invita alla gioia? Lo so bene, dicevo, che ci sono fette di gioia e abissi di fatica questa notte. Ho incontrato anche tanta luce in questi luoghi: uomini e donne che spendono la loro vita a servire le persone, a lenire le ferite. E sono grato a tutti loro, a voi, carissimi operatori sociali e della carità.
In questa notte, nelle tenebre dell'umanità, siete segni di luce e di speranza, e vi ringrazio a nome di tutta la comunità.
Allora, cosa abbiamo di rivoluzionario questa notte? Cosa di straordinario? Dire "rivoluzionario" è dire poco, veramente. Da una parte abbiamo un rovesciamento radicale dell'altrove e dell'altro esistenziale.
Tutti noi nella vita, da bambini vogliamo diventare adulti; da adulti desideriamo diventare potenti, diventare re, persone che contano, ufficialmente per poter vivere meglio. Ci viene quasi spontaneo voler essere qualcun altro, tranne quello che siamo. Guardiamo sempre gli altri con un filtro di confronto sempre al ribasso, sempre in maniera frustrante, e non siamo nemmeno contenti di questa umanità che noi stessi stiamo facendo precipitare negli abissi delle guerre e dei conflitti.
Noi, esseri umani, piccoli e grandi potenti, direbbe Bonhoeffer, vogliamo essere sempre altro, mentre il bambino di Betlemme è l'unico a voler diventare come noi, ad avere una vita umana: è l'unico che è innamorato dell'umanità. Noi esseri umani sogniamo di diventare grandi e potenti; invece, lui, il bambino, vuole diventare piccolo e fragile, quasi per imparare a sentire le fatiche della vita, quasi per imparare a piangere.
Che grande dono è questo: il bambino adagiato nella mangiatoia come culla, quasi a dirci, come lo stesso nome di Betlemme, casa del pane: «Mangia me. Nutriti di me, lascia che io trasformi te lentamente in me. Lascia che io entri da te e nei tuoi abissi di fatica e di non pienezza, per poterti dare senso e gioia autentica».
Vedete, escludere il Bambino Gesù dalla nostra vita, dal nostro Natale, significa auto-relegarci nella nostalgia dei tempi che furono, per ciascuno di noi, rimpiangendo ciò che non siamo stati o ciò che non saremo mai.
Accoglierlo, invece, significa riabbracciare tutta l'umanità con lo stesso amore che lui ha per noi. Ed ecco la seconda lezione della rivoluzione copernicana del bambino: l'angelo va per primo dai pastori a dare l'annuncio del Salvatore che è nato. I pastori sono una categoria disprezzata ed esclusa, gente nella cui compagnia non faceva piacere stare a nessuno.
Tanto per capirci, nella tradizione ebraica, alla domanda del perché ritardasse ad arrivare il Messia atteso, la risposta era: «Ritarda ad arrivare il Messia perché ci sono i pastori e alcune altre categorie». Ed invece questa notte la notizia del Messia è data proprio per prima ai pastori: «Oggi, per voi, è nato il Salvatore». Sono i primi destinatari del suo arrivo.
Il bambino di Betlemme, quindi, introduce un nuovo criterio nell'umana gerarchia: i primi destinatari del suo arrivo sono gli scartati, i rifiutati, i poveri, coloro che puzzano, che non abitano in case di lusso, che sentono i crampi della fame materiale e della fame relazionale, che non hanno niente, sono senza patria, sono senza tetto spirituale, direbbe il cardinale Zuppi.
Finché non si sta in compagnia di queste categorie, rischiamo di non incontrare il bambino come nostro Salvatore, rischiamo di stare dalla parte sbagliata della storia. Ora, so bene che ciascuno di noi ha le sue povertà; per cui siamo in buona compagnia dei pastori.
Siamo i primi destinatari anche noi, se abbiamo il coraggio di mettere davanti al bambino le nostre culle vuote, i nostri sensi di non pienezza di vita. Tutti noi siamo in buona compagnia dei pastori se abbiamo il coraggio di dire al bambino: «Ho delle tenebre dentro, ho bisogno che tu le illumini; ho delle situazioni di fatica, di non senso, di frustrazione; ho bisogno che tu mi salvi, Gesù».
Ecco, carissimi, il neonato di Betlemme è uno spartiacque radicale della storia umana. Abbraccia l'uomo, l'umanità tutta; la ama così com'è, senza disprezzarla, e chiede di avere lo sguardo posato verso il basso, dove ci sono le categorie reiette, se lo si vuole incontrare e accogliere.
Se è apparsa la grazia di Dio che porta salvezza a tutti gli uomini, come dice san Paolo nella seconda lettura, questa grazia ci insegna a cambiare stile di vita. Dice Paolo: bisogna rinnegare l'empietà e i desideri mondani e vivere con tre atteggiamenti concreti: sobrietà, giustizia e pietà.
Una vita sobria è una vita nella semplicità e nella modestia, dove lasci spazio all'altro senza occupare spazi fisici o relazionali eccessivi, bulimici.
La giustizia non è giustizialismo, tanto di moda oggi, ma uno stile di vita dove si fa di tutto per frenare le ingiustizie sociali, dove si ha attenzione verso i più fragili, una vita dove non ci si accosta solo per il proprio interesse egoistico ma per il bene comune di tutti, anche delle generazioni future. Su questo, attenzione a non prosciugare il futuro delle prossime generazioni.
Infine, dice Paolo, una vita vissuta con pietà, che non è il pietismo depressivo, compassionevole, ma una premurosa partecipazione alla sorte di coloro che incontriamo.
Mi sembrano tre atteggiamenti di vita di cui oggi abbiamo tanto bisogno. E allora, carissimi, l'augurio di buon Natale di Gesù nella nostra vita ce lo diciamo, ce lo ricordiamo, ce lo auguriamo e lo chiediamo per ciascuno di noi.
Accogliamo e adoriamo il bambino; lasciamo che diventi criterio di amore verso noi stessi e verso l'umanità. Quanto sarebbe bello se, con l'arrivo del bambino, tutti noi recuperassimo uno sguardo più positivo sull'umano, su ogni essere umano.
Quanto sarebbe bello se riuscissimo ad avere maggiore amore per l'umanità, a partire dal vicino che vedi accanto e che, magari, a volte tendi a non sopportare. Perché non si può amare l'umanità e detestare il nemico del pianerottolo.
Solo così lui, che oggi diventa uomo, potrà farci sperimentare le vette altissime della gioia spirituale, dove noi stessi diventiamo divini, figli dello stesso Padre.
Perché questa è l'unica misura umana che può saziare il nostro cuore: essere figli dello stesso Padre, tutti insieme. Maria e Giuseppe ci mettano vicini alla mangiatoia per sentire quest' intima gioia spirituale in questo tempo, e il bambino ci introduca nella tenerezza verso l'umano, nella tenerezza verso ogni fragilità umana, perché noi siamo i primi destinatari di questo.
Buon Natale a tutti.