Prodotti lucani contraffatti in Usa

La Cia Basilicata denuncia “agropirateria” negli States

lunedì 22 agosto 2016 8.13
A cura di Marco Delli Noci
Tanti i prodotti lucani contraffatti e venduti negli Stati Uniti d'America. A denunciarlo sono gli agri-chef e i titolari delle aziende agrituristiche del circuito Turismo Verde-Cia Basilicata.

Dalle loro testimonianze, i prodotti vittime di "agropirateria" negli Usa risultano: il caciocavallo, il pecorino di Moliterno, i salumi di Picerno, l'aglianico del Vulture, l'olio delle colline e la farina di grano duro del materano, il peperone di Senise.

Negli scaffali dei supermarket americani è facile trovare "cold cuts lucan" spacciati per salumi di Picerno o "chees lu'kan" in commercio come formaggi locali e persino bottiglie di "alianik". Un business che per le produzioni alimentari italiane raggiunge un giro di affari da 60 miliardi di euro l'anno, di cui un terzo realizzato solo con la contraffazione dei formaggi lucani di qualità.
"La situazione – osserva la Cia lucana – è di estrema gravità. Ci troviamo di fronte a un immenso supermarket dell'agro-scorretto, del "bidone alimentare", dove a pagare è solo il nostro Paese. E il danno, purtroppo, è destinato a crescere, visto che a livello mondiale ancora non esiste una vera tutela delle nostre 'eccellenze' Dop, Igp e Stg".

Altre segnalazioni raccontano di prodotti che arrivano dall'estero con, o senza, etichette italiane. Su questo versante, affermano dalla confederazione, "i sequestri da parte delle autorità competenti italiane negli ultimi due anni si sono più che quadruplicati". "E ciò significa – continuano dalla Cia - che i controlli funzionano, ma il pericolo di portare a tavola cibi 'a rischio' e a prezzi 'stracciati' è sempre più incombente". I più colpiti dalle sofisticazioni sono i sughi pronti, i pomodori in scatola, il caffè, la pasta, l'olio di oliva, la mozzarella, i formaggi, le conserve alimentari. E l'allarme maggiore riguarda "quello che viene dalla Cina che, nonostante il calo delle esportazioni 'ufficiali' in Italia, riesce a far entrare nella Penisola grandi quantità di prodotti che possono mettere a repentaglio la salute, oltre a provocare gravi danni all'economia agricola nazionale. Su tutti il caso dei pomodori cinesi".

"Di fronte a questa 'rapina' giornaliera – conclude la Cia – bisogna dire basta. Ma per mettere un freno al fenomeno dell'italian sounding e all'agropirateria globalizzata servono misure reali ed efficaci. Ecco perché ora bisogna fare qualcosa di più: il 'made in Italy' agroalimentare è un settore economicamente strategico -osserva la Cia- oltre a rappresentare un patrimonio culturale e culinario che è l'immagine stessa dell'Italia fuori dai confini nazionali. Adesso servono misure 'ad hoc' come l'istituzione di una task-force in ambito Ue per contrastare truffe e falsificazioni alimentari; sanzioni più severe contro chiunque imiti prodotti a denominazione d'origine; un'azione più decisa da parte dell'Europa nel negoziato Wto per un'effettiva difesa delle certificazioni Ue; interventi finanziari, sia a livello nazionale che comunitario, per l'assistenza legale a chi promuove cause (in particolare ai consorzi di tutela) contro chi falsifica prodotti alimentari".