deposito nucleare
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Territorio

Deposito scorie nucleari, dopo l’annuncio il nulla

Il Ministero dell’ambiente prende ancora tempo

Risale allo scorso 21 marzo l'annuncio del Ministro Calenda su un'imminente pubblicazione della Cnapi, la carta dei siti potenzialmente idonei ospitare i Deposito nazionale dei rifiuti nucleari.
Il ministro aveva chiesto una settimana di tempo ma da allora di settimane ne sono trascorse più di due e ora con le fibrillazioni pre Governo in corso è difficile, ma non improbabile, pensare che la pubblicazione avvenga in questi giorni.
Cose è successo in queste settimane e cosa ha imposto il nuovo stop alla pubblicazione?

Il decreto che dà il via libera a rendere noto un documento secretato da due anni deve essere corredato da due firme: quella del ministero dello Sviluppo economico e quella del dicastero all'Ambiente.
Secondo quanto riferito dalla rivista Wired fonti vicine al dossier, pare che proprio il Ministero dell'ambiente abbia chiesto altro tempo senza dare certezze sulla definizione dell'iter che si trascina dal 2015.
La pubblicazione della Cnapi è uno dei passaggi necessari per arrivare a individuare il luogo dove sorgerà il deposito nazionale delle scorie nucleari. Questa struttura raccoglierà 78mila metri cubi di rifiuti radioattivi a bassa e media intensità, oggi distribuiti in 22 siti temporanei. Dalle ex centrali nucleari dismesse a laboratori di ricerca. Il deposito, inoltre, raccoglierà le scorie che la filiera dell'atomo produrrà in futuro.
La responsabilità sui lavori e sulla futura gestione è già stata affidata alla Sogin, la società dello Stato incaricata dello smantellamento nucleare. È la stessa società che ha compilato una bozza di Cnapi, consegnata poi all'Istituto superiore per la ricerca e la protezione ambientale (Ispra).

Come si ricorderà la Sogin già nel 2015 ha sottoposto all'attenzione dei due Ministeri un elenco di "luoghi poco abitati, con una sismicità modesta, senza rischi di frane o di alluvioni" tra cui una decine di piccole aree dal Piemonte alla Calabria, soprattutto sulle colline del versante adriatico dell'Appennino, e due aree più estese, una fra Toscana e Lazio e l'altra fra Puglia e Basilicata.
L'elenco atteso per le scorse settimane è rimasto nei cassetti ministeriali senza alcuna spiegazione ufficiale mentre nei singoli territori non si placano le preoccupazioni.
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