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Grano: quotazioni uguali a dieci anni fa

La Cia Basilicata lamenta il basso prezzo

Anche quest'anno sia in Basilicata sia in Puglia la Cia Agricoltori lamenta il basso prezzo per il grano duro locale.

"Maggio 2015-Maggio 2025: sono passati 10 anni - spiega la sigla agricola - ma alla Borsa Merci di Foggia (per i cerealicoltori lucani quella di riferimento per la produzione cerealicola) le quotazioni del grano duro di oggi sono le stesse di allora. A maggio 2015, il grano fino venne quotato 305-310 euro alla tonnellata; oggi, 2025, il valore di scambio riconosciuto al fino è di 310-315 euro. A dieci anni di distanza, con gli attuali costi di produzione considerevolmente superiori, ai produttori di grano duro italiano viene corrisposta la stessa cifra, nel frattempo la pasta è aumentata del 35% col prezzo medio passato da 1,20 euro al chilo nel 2015 a una media di 1,62 nel 2025. Per non parlare del pane, il cui costo medio è passato da 2,75 a 4,20 euro al chilo, con un aumento del 53%. Così Cia-Agricoltori in una nota a firma di Leonardo Moscaritolo presidente Gruppo Lavoro Nazionale cereali Cia e dirigente Cia Potenza che aggiunge: "da un lato i prezzi sempre più bassi del grano italiano e, dall'altro, i costi di produzione sempre più alti stanno portando al collasso la nostra cerealicoltura. Senza le misure di Granaio Italia, il nostro Paese non ha nessuno strumento contro la concorrenza sleale. Per giunta, nonostante la carenza di prodotto nazionale e la continua richiesta da parte dei consumatori di prodotti 100% italiani, le quotazioni dei cereali sono sempre più mortificanti per gli agricoltori".

Gennaro Sicolo, vicepresidente nazionale di Cia-Agricoltori Italiani: "Come in una guerra, stiamo perdendo terreno, con le semine ai minimi storici si rinuncia a seminare grano, e quindi aumenta la dipendenza dall'estero. Serve maggiore trasparenza sui mercati e il riconoscimento dei costi ai cerealicoltori italiani. Serve maggiore tracciabilità, così come è necessario uno strumento che certifichi i costi di produzione per definire, in modo chiaro, anche i termini di contrattazione". La rinuncia alle semine, un dato costante negli ultimi anni, potrebbe crescere in modo esponenziale qualora i prezzi riconosciuti ai produttori dovessero essere tenuti artificiosamente bassi per molto altro tempo. Il rischio è che in pochi anni la produzione del cereale di punta crolli come accadde per le barbabietole.

"Occorre un intervento concreto del Governo. Bisogna fermare subito questa scellerata spirale al ribasso. Le conseguenze economiche e occupazionali sono insostenibili, ma a perderci alla lunga sarà l'intera filiera italiana grano-pasta, compresi i consumatori, poiché saremo sempre più dipendenti dal grano estero che ha standard qualitativi e di sicurezza nettamente inferiori. Spesso si tratta di grano estero di dubbia provenienza, con 'triangolazioni' poco chiare da Paese a Paese nel percorso che conduce i carichi qui in Italia. Oggi il valore riconosciuto al grano italiano non copre nemmeno i costi di produzione. Le importazioni massicce, lo squilibrio lungo la catena di filiera a tutto svantaggio dei produttori, la crescita dei costi di produzione, la siccità e le croniche lacune infrastrutturali stanno mettendo a serio rischio la nostra cerealicoltura. I consumatori -conclude Sicolo- scelgano solo pasta realizzata interamente con grano italiano".
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